
Giusto e sbagliato
Ero piccolo e mio padre esponeva. Eravamo a Matera, città benedetta dalla bellezza. Durante l'esposizione, tra il brusio dei visitatori, serpeggiò la voce di una donna che - ignara di esternare di fronte al figlio dell'artista - si rivolse all'accompagnatore, scuotendolo per la giacca: "Andiamo per favore. Questo pittore mi dà il voltastomaco". Mi corrucciai. Mi si accese una fiammata di buio nel cuore. Sottraendo mio padre al flutto di parole in cui era versato, gli ripo

il bianco
Era l'anno 2000 e la giovinezza sì che sapeva ruggire. Ed io lì, con i capelli popolosi. Scendevo qualche scalino. Entravo in un antro che da subito dava un ficcante sentore di tufo.
Ci parlavamo. Ci dicevamo che fare. Le nostre voci, nude solo qualche passo prima, si vestivano dello strascico del suono diffuso, nello spargersi respirante delle stanze. Pareti. Quadri. Le opere ricevevano dall'alto il fiotto dei raggi artificiali.
Le lancette andavano, a inseguire un inizio.