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Giusto e sbagliato

Ero piccolo e mio padre esponeva. Eravamo a Matera, città benedetta dalla bellezza.


Durante l'esposizione, tra il brusio dei visitatori, serpeggiò la voce di una donna che - ignara di esternare di fronte al figlio dell'artista - si rivolse all'accompagnatore, scuotendolo per la giacca:


"Andiamo per favore. Questo pittore mi dà il voltastomaco".


Mi corrucciai.

Mi si accese una fiammata di buio nel cuore.


Sottraendo mio padre al flutto di parole in cui era versato, gli riportai il commento puntuto della signora. M'aspettai un incresparsi di ciglia, un corrugarsi di fronte, un adombrarsi di occhi; invece scrollò le spalle e rise. D'una bonomia serena, serafica, conciliata.


Allora capii che gli artisti sono fatti di un'altra pasta.


Un giorno il maestro rischiò di bruciarsi una vendita perché si rifiutò di cancellare un ragno da un'ascella, che turbava - a dire del committente - il nitore della composizione. Sarebbe bastato assentire: "Sì, ok. Non c'è problema. Eseguo". Sarebbe bastato il breve ondeggiare del polso, un paio di pennellate condiscendenti ed emendatrici.


Ma spiegate a un artista la parola "correggere".

Spiegategli le categorie del giusto e dello sbagliato.

Del si fa e non si fa.


L'artista ha della vita che gli urge dentro.

Non puoi dire alla verità che si alza in piedi di stare lì tranquilla.

Bella composta.






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