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Il frate smarrito

Questo quadro ha una storia tortuosa, non lineare, dai contorni frastagliati e taglienti come l'imprevisto.


Un giorno mio padre, nella consueta computa delle opere ("inventario" mi dà troppo di merce) notò che "il frate" mancava all'appello: c'era nella lista su carta, ma non c'era nel mondo reale.


Per mesi fu angustiato da questa infelice corrispondenza.


Dopo convolute ipotesi, si convinse che andò smarrito in una mostra a Terlizzi. Ma un incrocio di telefonate e di verifiche portò a un vicolo cieco (e non trattavasi del ristorante il "Vicolo" dove fu allestita la personale).

Dopo mesi, mia madre - nella paziente opera di messa a soqquadro della casa - stanò il "frate" nello spazio filiforme tra muro e armadio.


Le latebre della casa partorivano un ritrovo.


Il maestro, nel ricongiungersi con il figlio smarrito, ebbe dei tremuli luccichii agli occhi. Così leggenda vuole.


Non conosco la genesi dell'opera: forse qualche eco lontana della giovinezza trascorsa ad Assisi, dai frati conventuali.


O, forse, l'amore per le rotondità.

O il pendulo richiamo delle scamorze intraviste nella vetrina di un caseificio sulla via della spesa.

Seni / scamorze.

Una rima eidetica fondata sul latte. O forse sulla nutrizione. Chissà.


Al di là del significato, che è un segreto mai pienamente accessibile ai fruitori dell'arte, il quadro del frate esemplifica il valore del ritrovamento.


Possediamo, accumuliamo, accantoniamo.


Ma perdere per ritrovare è più che ripossedere: è riguadagnarsi.



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